Cronaca di un pomeriggio al Monte-Carlo Country Club
Sono stato a vedere la finale del Master 1000 di tennis di Monte-Carlo, e questo è il racconto di quello che ho visto
Faceva caldissimo alle 16.30 di sabato 13 aprile nel momento in cui ho realizzato che Jannik Sinner aveva perso la semifinale del Master 1000 di Monte-Carlo contro Tsitsipas e che quindi non avrei avuto la possibilità di vederlo, il giorno dopo, in campo per la finale.
Nella mia vita mi è già capitato una volta di vedere Sinner dal vivo, alla Next Gen del 2019 a Milano, quando appena 18enne stravinse il torneo facendo intendere a tutti di avere un talento fuori dal comune.
Se a Sinner è stato sportivamente negato l’accesso alla finale per una partita non felicissima, per un paio di gravi errori arbitrali, per un piccolo problema fisico e infine per la bravura del suo avversario,
beh, io invece ci sono andato.
Persa la possibilità di vedere Sinner, speravo almeno di poter vedere Nole Djokovic, così da aver assistito ad almeno una partita dei fenomenali Big Three (Nole, Rafa e Roger) che hanno segnato gli ultimi 20 anni del tennis mondiale; invece no, perché il norvegese Ruud, che fino a quel momento non aveva mai vinto neanche un set in carriera contro Djokovic, non solo ha vinto il primo, ma poi anche il terzo della partita, trionfando quindi 2-1.
Se sognavo di vedere un meraviglioso Sinner-Djokovic, il destino sportivo mi ha assegnato invece un più anonimo Tsitsipas-Ruud, anche se il livello quasi equo della partita garantiva quanto meno un incontro aperto e combattuto.
Partendo da Tortona, dove il giorno prima eravamo per un party, io e la mia ragazza Martina ci mettiamo in macchina domenica mattina verso Monte-Carlo.
Nonostante il terrorismo ricevuto a destra e sinistra in merito al pericolo traffico nel versante ponentino della Liguria, in due ore e mezzo eravamo nella città il cui PIL pro capito al 2022 era di 229K (in Italia è poco più di 30mila).
Ero già stato a Monte-Carlo, una volta in cui, dopo un lungo viaggio, io e un’altra banda di disagiati avevamo parcheggiato la macchina totalmente a caso, facendocela portare via e pagando una salatissima multa.
Questa volta ero deciso a non commettere errori: il navigatore mi ha accompagnato nell’addentrarmi in città, passando per una serie di stradine molto strette, che potrebbero essere comuni a tantissime città costiere italiane, se non che a percorrerle non ci fossero ApeCar o motorini ma BMW, Mercedes e Ferrari.
Il primo punto: dove si parcheggia a Monte-Carlo? Nei parcheggi sotterranei, nei garage, ovviamente.
Sì, ma quanto costano? Sarete felici di sapere che se avete un biglietto del Master 1000 in tasca potete usufruire di uno sconto, e pagare 8€ per tutto il giorno come tariffa fissa.
Nelle indicazioni per raggiungere il torneo c’è la sezione dedicata se lo si fa in macchina, in treno e, per farvi capire il livello, in elicottero.
Quindi, evidentemente, non è raro andare ad assistere alla finale di Monte-Carlo con il proprio elicottero.
Sistemata la questione macchina (già, niente elicottero per noi ☹️), abbiamo percorso a piedi per un chilometro abbondante Boulevard d’Italie fino al Monte-Carlo Contry Club.
Passeggiando per la strada, ci si rende conto di essere in un posto diverso.
Le persone per strada sfoggiano outfit, borse, orologi e scarpe che valgono migliaia di euro l’uno, e lo fanno senza la minima preoccupazione.
Tutto questo lusso, non è sinonimo per forza di classe eh.
Ad esempio, per un tratto di strada davanti a noi ha camminato un signore, tutto impettito e orgoglioso del suo vestito, ma con dei pantaloni troppo bianchi che facevano intravvedere sia la camicia dentro i pantaloni sia, soprattutto, le mutande.
Per scendere da una strada all’altra abbiamo preso l’ascensore, sapete, si usa così da quelle parti.
Il Monte-Carlo Country Club non si nota in mezzo ai grattacieli monegaschi, ci si rende conto che si è arrivati per la folla di persone e perché la strada è ricoperta di cartelloni pubblicitari legati al tennis - in uno c’era Musetti.
L’entrata, pensavo io, sarebbe stata caratterizzata da molti controlli, e invece no: praticamente nessuna coda, biglietto semplicemente scannerizzato, zero documenti chiesti e via andare.
L’idea che qualcuno possa rubare o approfittare di qualcosa non suo, evidentemente, da quelle parti non è troppo contemplata.
Siamo entrati quando mancava un’ora alla partita, e quindi via con una delle nostre attività preferite: vedere cosa fa la gente attorno a noi.
Il primo aspetto che risalta agli occhi è la densità di popolazione: lo spazio è minuscolo, negozi e bar sono tutti ammassati, lunghissime e rispettatissime file per qualunque servizio, e la sensazione di essere nel mezzo di una lenta processione senza una precisa meta.
Si cammina e si ondeggia senza sapere bene dove andare, proprio perché non è facile capire dove sono le cose e la gente sembra semplicemente voler confermare, a se stessi e agli altri, di essere proprio lì.
Dentro ci sono negozi che vendono tutto il merchandising che possiate desiderare, dalle maglie e racchette alle palline da tennis quelle giganti; l’oggetto più acquistato direi che è il cappellino con la visiera del Monte-Carlo Country Club, per far capire a tutti che sei informale ma con un cappellino di un certo livello.
I ristoranti offrono da mangiare le classiche cose, come hamburger e patatine, ma ha grandissimo successo il gelato e soprattutto la crepe alla nutella.
A quel punto, dato che c’erano mille gradi, abbiamo trovato un angolo di ombra dove, semplicemente, ci siamo appollaiati.
Da lì abbiamo assistito a una sfilata sociologica di personalità differenti:
C’erano donne in abito lungo e tacchi, con vestiti ricercati e molto eleganti, oltre che costosi. Un flash: una signora, tutta vestita di Gucci e di color turchese, con in faccia almeno due dita di trucco e le labbra rifatte.
Gli uomini indossavano o il classico duo camicia-pantaloncino corto, magari con golfino sulle spalle e Rolex al polso, oppure orripilanti abiti pseudo sportivi, con sneaker di brand come Ralph Loren e simili.
Alcuni che invece ostentavano un abbigliamento quasi troppo in formale, in ciabatte e camicia aperta sul petto, come a far intendere che per loro quello è il giardino di casa
E in mezzo tante persone meno stravaganti ma comunque attente a non apparire minimamente in disordine, tutte composte e silenziose, rispettose dell’idea di essere quasi a teatro e non a un evento sportivo.
Il campo della finale, quello centrale, il Court Reiner III, è in realtà molto piccolo. Per raggiungere i posti più economici, quelli dove eravamo noi, si percorrono solo alcuni gradini. Fino all’inizio della partita, c’è stato un enorme via vai, con persone che continuavano a sedersi e poi ad alzarsi dal proprio posto. Tutti desiderosi di non sfigurare in quel contesto di alta classe.
E devo dire che, non appena mi sono seduto al mio posto, un certo ironico scetticismo che mi aveva accompagnato fino a quel momento ha lasciato il posto al fascino del bello.
Essere seduti davanti a un campo di terra rossa lucente che sembra più un bellissimo tappeto che un terreno da gioco; alzare la testa e vedere il blu intenso del mare che si fonde con quello del cielo; girare lo sguardo e vedere yacht e grattacieli sullo sfondo dipinge negli occhi un quadro di serenità.
La partita è stata anticipata da una lunga cerimonia, con la presentazione dei giocatori prima e gli inni nazionali poi, tutto mentre in campo c’erano decine di persone atte a reggere bandiere e formare semicerchi umani per creare un piccolo disegno.
Una volta iniziato l’incontro, a regnare è stato il silenzio: è bellissimo sentire la pallina che delicatamente taglia l’area prima di essere colpita con strabiliante velocità, precisione e decisione dai tennisti, il cui movimento del braccio raggiunge una rapidità di cui ci si rende conto solo a occhio nudo e non in tv.
Durante gli scambi, si sentono soltanto i gabbiani, qualche macchina che sgasa sulla strada affianco al campo e il rumore di posate e bicchieri mossi dai camerieri del ristorante che sta sopra al campo.
Sì, perché neanche 6 metri sopra il campo, in cima alla tribuna autorità con il palco reale del Principe Alberto, c’è un ristorante con le tovaglie bianco candido dal quale, chi vuole, può osservare la partita.
Ruud ha giocato male, mettendo in campo le proprie qualità soltanto in alcuni scambi del secondo set, lasciando nei fatti una vittoria facile a Tsitsipas.
Nessuno ha tifato in maniera barbara, c’erano letteralmente singole persone che ogni tanto gridavano “Forza Stephanos” (ma in greco) o “Let’s go Ruud”.
Per chi è abituato al coro di mille voci di uno stadio, questo ha un effetto molto ilare, come a sentirsi proprio in un altro universo, come quando da bambini ci si sente grandi a dire le parolacce.
Dopo il dritto che gli ha concesso la vittoria, il greco è crollato a terra mentre tutti gli altri attorno si alzavano per applaudire il suo successo.
La premiazione si è svolta con il Principe Alberto in campo e in generale un’educazione e un rispetto che è proprio del tennis e che fa venire voglia di essere così cortese e rispettoso tutti i giorni dell’anno con tutte le persone del mondo.
Piano piano si lascia lo stadio; a piedi siamo tornati verso la macchina chiedendoci come vivessero e se ci fossero delle persone “normali” a Monte-Carlo.
Ma soprattutto, lo abbiamo fatto riflettendo sul fatto che assistere a un torneo del genere faccia dimenticare le sofferenze del mondo, è come un piccolo incantesimo in cui tutto sembra bello, alla portata e giusto.
Come un bellissimo campo di terra rossa luccicante davanti a un mare blu illuminato dai brillanti riflessi del sole.
“Ci voglio tornare tutti gli anni”, mi ha detto Martina.
Vorrei essere essere leggero come quella pallina che batte sul campo sotto un cielo senza nuvole, ho pensato io.
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🏀🇮🇹 Un’italiana di 19 anni in WNBA
📣📣 C’è una grande novità per il basket femminile italiano:
👏🏽 Matilde Villa, ragazza nata nel 2004 a Lissone, è stata scelta dalle Atlanta Dream per giocare nella WNBA americana, il miglior campionato di basket femminile al mondo, nella prossima stagione.
Villa è stata scelta al Draft come numero 32 dopo che quest’anno ha giocato con la Reyer Venezia, e arriva in America dopo aver calcato i campi della Serie A da quando ha 14 anni.
➡️ Villa è l’italiana numero 8 a giocare in WNBA e la quarta in assoluto a venire selezionata al Draft: prima di lei Catarina Pollini (1997), Kathrin Ress (2007) e Lorela Cubaj (2022). Cubaj, tra l’altro, giocava anche lei a Venezia e ora gioca ad Atlanta, dove ritroverà quindi Villa.
Tra le italiane passate dalla WNBA la più nota è sicuramente Cecilia Zandalasini, che nel 2017 con le Minnesota Lynx ha anche vinto il campionato.
✌🏼 In bocca al lupo per Matilde e wow, che sogno realizzato!
🇺🇸 🎰 In NBA c’è stata una squalifica a vita per gioco d’azzardo
❌ Il giocatore dei Toronto Raptors Jontay Porter è stato squalificato a vita dalla NBA per aver violato le regole della lega in merito alle scommesse sportive.
🔗 Nello specifico, le indagini della Basket Association hanno acclarato che Porter ha fatto in modo di alterare le proprie prestazioni in campo così da orientare le scommesse su di lui.
Un esempio: in una partita è sceso in campo per soli 3 minuti, uscendo poi per un infortunio.
💈 Guarda caso, un suo amico aveva scommesso 80,000$, con vincita potenziale di oltre 1 milione, sul fatto che, proprio in quella partita, Porter avrebbe giocato poco o niente e avrebbe avuto quindi statistiche rasenti lo zero. Che fortuna!
La scommessa, proprio per la sua natura dubbia, non era stata pagata dall’agenzia.
In altre occasioni Porter aveva usato un account non suo per piazzare scommesse sulle partite NBA.
🔎 Tutto questo è stato scoperto e così Porter è stato squalificato a vita.
➡️ Episodi del genere tuttavia rappresentano qualcosa di quasi inevitabile visto il grande mercato che si sta generando in America attorno alle scommesse sportive.
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⏰ Se ti sei perso l’ultima puntata di Linee…
🇳🇱⚽ Abbiamo parlato di Olanda e del suo principale problema nel calcio: la violenza dei tifosi.
L’Olanda è infatti il paese in Europa dove la condotta degli Ultras si è fatta negli ultimi 3 anni più incontrollata, violenta, aggressiva e pericolosa.
Un fenomeno che nasce dopo il covid, che ha nell’anarchia morale una delle sue caratteristiche e che soprattutto è sintomo di un malessere e di un cambiamento che sta riguardando tutta l’Olanda, non solo quella calcistica e dei tifosi.
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